Giovanna Palladini / Liberetà

Lo stile è inconfondibile: primi piani dei protagonisti, racconti in dialetto, cinema puro dove parole, immagini e suoni volano alto, diventano anima, poesia. è l’ultimo film di Daniele Segre presentato al Festival di Venezia e proiettato il 15 settembre in anteprima a Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, la città dov’è ambientata la storia. Si intitola “Paréven furmìghi” (Sembravano formiche) e racconta la storia di un intero paese che nel 1950, con la gente che ancora si sentiva addosso le privazioni e la fame della guerra, decise di costruire il cinema della città. Con carriole e biciclette, in fila indiana, la domenica e dopo il lavoro. la gente di Cavriago per dodici mesi fu lì a portare mattoni e ghiaia. Donne e uomini, vecchi e bambini, tutti come “furmìghi”, così come si dice nel forte accento della bassa Reggiana.
Quei dodici mesi di intenso lavoro, a cavallo tra il ’50 e il ’51. sono stati ricostruiti attraverso le testimonianze dei protagonisti che hanno fatto riemergere non solo le proprie storie personali legate a quell’avventura, ma soprattutto il clima dell’epoca. quella stagione così ricca di entusiasmi collettivi e valori popolari: l’amore per il cinema, la voglia di divertirsi per dimenticare i dolori della guerra. ma anche l’ebrezza di libertà e la speranza per un avvenire dove splendesse il sole del socialismo. La costruzione del nuovo cinema, interamente realizzato con il lavoro volontario, rappresenta una pagina fondamentale della storia di Cavriago. Fu un avvenimento dai toni persino epici che testimoniò la volontà di uscire dagli anni duri del fascismo e della guerra. «C’era una fratellanza, c’era la volontà, c’era tutto» dicono i protagonisti di allora. Il Cinema Teatro Nuovo di Cavriago non fu “il teatro dei comunisti”, ma di tutto il paese. Cavriago, bisogna ricordarlo, è un Comune rosso, tanto rosso che conserva intatto il busto di Lenin, donato dal l’Urss, che ancora oggi campeggia nella piazza principale. «L’idea di costruire il cinema fu dei comunisti – raccontano i cavriaghesi –. Ma fu un momento di incontro, un atto di riconciliazione tra tutta la cittadinanza». La nuova sala cinematografica venne inaugurata nel marzo del1951: oltre alla proiezione di film,sempre seguitissimi, il Cinema Teatro venne utilizzato in quegli anni anche per molteplici attività e iniziative: serate danzanti, feste, riviste con attori, cantanti, ballerini e musicisti di Cavriago, ma anche comizi e dibattiti politici. La sala subì negli anni, come tutti i cinema, le alterne fortune dello spettacolo: dal declino della rivista alla stagione dei cineforum e dei cinema d’essai. Nel 1985 il Cinema Teatro Nuovo chiuse i battenti. Nel 1993 il Comune ne deliberò l’acquisto e l’anno successivo iniziarono i lavori di ristrutturazione. Il 15 settembre del ’96 il Cinema Teatro Nuovo riaprì i battenti con il nuovo nome “Multisala Novecento”. «Grazie al cinema – racconta Segre – ho potuto incontrare e raccontare donne e uomini che un cinema nel loro paese, Cavriago, l’hanno costruito. è stato emozionante comprendere l’importanza che il cinema ha per tutti noi e come può far vivere emozionanti imprese epiche a donne e uomini veri e non di celluloide o nastro magnetico».

«Credo che le potenzialità emerse dal film, siano la giusta esagerazione per mantenere la voglia di vivere». Esordisce così Daniele Segre parlando alla platea della Multisala Novecento subito dopo la proiezione del film. La sottolineatura (“esagerazione”) è la risposta a talune critiche sollevate in certi ambienti cittadini tendenti a sminuire la portata dell’evento storico. La platea non smette di applaudire il regista, la sera della presentazione della pellicola a Cavriago, tanto che Segre è costretto a ripetere: «Va bene, esageriamo, troviamo il coraggio di dirlo quello che pensiamo. Sono io che ringrazio Cavriago, perché ci ha dato la forza necessaria per credere che il cinema, il fare cinema è ancora una cosa importante. Qui voi vi siete conquistati il diritto di essere liberi; io sono solo un uomo con la macchina da presa. lo però non ci sto, sono contro chi vuole rubare, privare delle emozioni e della capacità di provocare e provare emozioni. Noi vogliamo essere dalla parte di una comunità civile che vuole avere il coraggio della propria identità. Il cinema può voler dire anche questo. Mi auguro che per gli allievi della scuola che hanno lavorato in questi mesi a Cavriago, questa sia una pietra miliare per imparare che la fatica si può combattere: lavorando».